PhD.
Omar Pandoli
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Email: omar.pandoli@unife.it
Dipingere col Sole
Il manipolatore della luce: il fotografo
Laboratorio di Chimica Fotografica
Il fotografo è
l'unico artista capace di scrivere con la luce, egli fra tutti la chiude, la
ferma, la fissa come nessun altro può osare per creare la sua opera artistica.
Egli la osserva dal mattino al tramonto e quando scintilla la spinge nella sua
camera oscura e la pone in contatto col nobile argento. Una volta rapita chiama
a soccorso mille arti infernali: la chimica, l'ottica e la fisica ed una volta
adagiata sul quadro ella rappresenta l'immagine del suo scrittore. La parola
fotografia deriva dall'unione di due parole di origine greca luce (φῶς | phôs) e
grafia o scrittura (γραφή | graphis), le quali letteralmente unite significano
"scrivere con la luce".
La luce per noi
deve essere il punto di partenza. Facciamo un esperimento semplicissimo.
Costruiamo una cassetta: ad una faccia di un cubo, in mezzo, pratichiamo un
foro e incastriamo in esso una lente convergente, togliamo la parete opposta e
rimpiazziamola con un vetro smerigliato. Guardiamo tale vetro coprendo la
nostra testa con un panno scuro. Spostiamo avanti e indietro il vetro
finché l'immagine del paesaggio
appaia nitida. Ecco la camera oscura, da essa alla
fotografia vi è solo un passo: questo passo venne fatto però in quasi trecento
anni.
Nell'eseguire tale
esperimento viene naturale l'idea di poter fermare sulla carta i disegni
colorati che la luce vi dipinge con magica mano. Per molto tempo la camera
oscura non è servita ad altro
scopo, poiché, ponendo sul vetro smerigliato un foglio di carta bianca,
sottile, vi si riproduce il
disegno stesso e con matita è agevole tracciare il paesaggio che la luce ha
formato. Siccome però la figura risulta capovolta e il paesaggio va cambiando
di ora in ora, risulta difficile riprodurre con esattezza tale immagine. Ecco
come sorge spontanea l'idea di far lavorare la luce. Da questa volontà proviene
la scoperta della fotografia.
Se noi invece di
ricevere l'immagine sul vetro smerigliato la riceviamo sopra un agente chimico
(materiale fotosensibile) che sia
suscettibile ad essere impressionato dalla luce avremo il passo determinante
nella soluzione del problema: questo non è altro che il fenomeno desiderato
della fotografia.
La luce per il
fotografo agisce in due modi: primo, come illuminatrice di tutti gli oggetti da
poter essere riprodotti nella camera oscura; secondo, come agente fotochimico
nel modificare le sostanze chimiche che ricevono l'impressione luminosa.
Adesso abbiamo i tre
elementi essenziali che ci danno un'idea generale di ciò che sia la fotografia:
la camera oscura, la lente riproduttrice (l'obbiettivo) e lo schermo che ora
diremo fotosensibile.
La camera oscura e
l'obiettivo costituiscono l'apparecchio, e lo schermo fotosensibile è ciò che
si potrebbe dire il luogo della chimica della fotografia.
La camera oscura,
come detto prima, nella sua forma elementare è una cassetta quadrata o
rettangolare che ha un foro nel centro in una delle due facce. L'immagine si
riproduce capovolta, perchè?
La spiegazione è
assai facile. Supponiamo che si riproduca una chiesa col suo campanile: la luce
si propaga in linea retta e quindi i raggi luminosi che partono dalla sommità
del campanile passano dal foro, continuano sempre in linea retta e si fermano
in basso allo schermo. Quelli provenienti dalle parti basse dell'edificio
penetrano nel foro e si vanno a inscrivere, continuando la retta, nelle parti
superiori dello schermo, similmente le parti a sinistra passano a destra e
viceversa. Ponendo la lente al foro non cambia il fenomeno, e quando invece
della lente porremo un complesso di lenti formanti ciò che si dice obbiettivo, si ripete lo stesso effetto con inversione delle immagini.
DESCRIZIONE E USO DELLA MACCHINA FOTOGRAFICA.
La macchina
fotografica e l'occhio umano presentano molte similarità. L'occhio è composto
da una lente trasparente (cristallino), posta dietro la cornea, anch'essa
trasparente, che mette a fuoco un'immagine sulla parte posteriore dell'occhio,
la retina, proprio come la fotocamera mette a fuoco l'immagine sulla pellicola
fotosensibile. La retina è una naturale rete
fotosensibile composta da migliaia di cellule.
Un'iride pigmentata, situata vicino alla lente, si ingrandisce o rimpicciolisce
col variare dell'intensità luminosa, proprio come il fotografo modifica
l'apertura del diaframma nella fotocamera. Similmente in una fotocamera, la
luce penetra attraverso l'obbiettivo (cornea e
cristallino nell'occhio) e passa dal diaframma (iride)
che si rimpicciolisce o si allarga per regolarne la quantità. Dopo la messa a
fuoco, la luce entra nell'otturatore e colpisce la pellicola (retina).
SENSIBILITA' ALLA LUCE
La pellicola
fotosensibile, risulta essere un film di celluloide ( miscuglio di fulmicotone
e canfora riscaldati e foggiato a pellicola) su cui vi è depositato uno strato
sensibile di gelatina di bromuro di argento. Tale sensibilità fa si che sulla
pellicola foto-eccitata (immagine apparente non visibile) e a contatto con dei
rivelatori (o sviluppatori chimici) l'immagine latente venga rivelata sotto
forma di punti chiaro-scuri (dal bianco al nero) mediante l'annerimento dei
sali d'argento.
Lo sviluppo dei
negativi è il primo passo verso l'autonomia fotografica.
Ottenuto lo
sviluppo del negativo possiamo passare alla stampa del positivo su carte
fotosensibili. Anche sulle carte fotografiche sono depositate le emulsioni
fotografiche sensibili, solitamente miscele di alogenuri di argento (cloruro e
bromuro di argento).
LABORATORIO FOTOGRAFICO
Il fotografo ha il
suo tempio: il gran mago, signore della luce, ha chiuso nei misteri
dell'oscurità i suoi preparati, ed una debole fiamma rossa fa apparire quel
ambiente come fantastico e diabolico.
Prima però di
entrare nel laboratorio diamo alcune spiegazioni sugli agenti chimici che ci
serviranno per compiere il mirabile miracolo.
Sia per lo sviluppo
del negativo che per la stampa del positivo si impiegano
successivamente tre soluzioni chiamate: sviluppo, arresto e fissaggio. La tecnica fotografica di per se è semplice, ciò che richiede precisione e
meticolosità sta nell'osservazione della temperatura dei bagni fotografici,
della durata e dell'uso razionale
delle soluzioni.
L'elenco dei
prodotti chimici necessari nel laboratorio del fotografo è brevissimo, sia che
si voglia preparare da sé i bagni di sviluppo, sia che si preferisca usare le
confezioni preparate dalle aziende preparando le opportune soluzioni diluite.
I prodotti
necessari sono:
idrochinone-
sviluppatore per negativi e per carte;
sodio solfito
anidro - conservatore
(antiossidante) dei bagni di sviluppo;
sodio carbonato
anidro – alcalinizzatore e acceleratore dei bagni di sviluppo;
acido acetico
glaciale – per bagni di arresto e di lavaggio;
sodio iposolfito
cristalli – sale fissatore per negativi e per carta.
Nessuno dei
prodotti citati è velenoso. La solubilità di tutte queste sostanze è ottima in
acqua leggermente calda.